Il papa in viaggio: Slovacchia
L’accoglienza del papa
Il Papa agli ebrei slovacchi: blasfemia peggiore è usare il nome di Dio per atti disumani
Francesco “pellegrino” in Piazza Rybné námestie, dove sorge il memoriale che ricorda gli oltre 105 mila ebrei sterminati durante la Shoah. Nel suo discorso, il grido di dolore per gli orrori compiuti dai totalitarismi: “Impegniamoci perché non venga profanata l’immagine di Dio nella creatura umana”. Poi l’appello contro ogni forma di “antisemitismo” e l’auspicio: “In mezzo a tanta discordia che inquina il mondo, siate sempre testimoni di pace”
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Entra a capo chino, incedendo lentamente, Papa Francesco, nella Piazza Rybné námestie di Bratislava. La “Piazza dei Pesci”, luogo di storia e di memoria per l’intera Slovacchia; luogo di dolore per la comunità ebraica che qui, dinanzi al Memoriale bronzeo che commemora le vittime della Shoah, sotto l’ombra della scritta “Zachor” (in ebraico “ricorda!”), piange i propri cari spazzati via dalla furia nazista. A questa comunità, dimezzata dopo la Seconda Guerra mondiale, il Papa si presenta “come pellegrino”, venuto “per toccare questo luogo ed esserne toccato”. Da qui lancia, come ieri a Budapest, un grido contro ogni forma di antisemitismo e perché non si ripeta mai più la “profanazione” dell’immagine di Dio, quegli atti disumani perpetrati, allora e ancora oggi, contro la persona umana.
Testimonianze commosse
Francesco si muove tra passato e futuro nel suo discorso, pronunciato dal palco allestito sotto un tendone bianco che ripara dal sole. Le sue parole seguono quelle di benvenuto del presidente dell’Unione Centrale delle Comunità Religiose Ebraiche nella Repubblica Slovacca, Richard Duda, e a due testimonianze. Anzitutto quella commovente di un sopravvissuto, il professor Lang, che racconta la drammatica epopea vissuta dalla sua famiglia, dalla deportazione alla liberazione, e ricorda pure il grande lavoro compiuto dall’allora incaricato d’Affari della Nunziatura in Slovacchia, monsignor Giuseppe Burzio, “che instancabilmente cercò di fermare l’antisemitismo del regime micidiale di quell’epoca”, laddove “nessun politico slovacco si oppose allora apertamente a quel regime”. Interviene poi suor Samuela, della Congregazione delle Orsoline, ricordando che, negli anni della persecuzione, il suo ordine ha aiutato bambini ebrei nascondendoli e facendoli fuggire dal Paese, come ricostruito attraverso le testimonianze di alcuni sopravvissuti.
Luogo benedetto
Prendendo la parola, il Papa ricorda anzitutto ricorda l’importanza della Piazza che, dice, “mantiene vivo il ricordo di un ricco passato” per secoli parte del quartiere ebraico, qui ha lavorato anche il celebre rabbino Chatam Sofer e qui sorgeva la sinagoga Neolog, accanto alla Cattedrale dell’Incoronazione. Già attraverso l’architettura si esprimeva “la pacifica convivenza delle due comunità, simbolo raro e di grande portata evocativa, segno stupendo di unità nel nome del Dio dei nostri padri”, osserva il Papa.
Qui avverto anch’io il bisogno, come tanti di loro, di ‘togliermi i sandali’, perché mi trovo in un luogo benedetto dalla fraternità degli uomini nel nome dell’Altissimo
Il nome di Dio disonorato dalla follia dell’odio
E proprio il nome di Dio è stato “disonorato” con la “follia dell’odio”, durante il secondo conflitto mondiale che vide la morte di 105 mila ebrei slovacchi, deportati e sterminati nei lager nazisti. “E quando poi si vollero cancellare le tracce della comunità, qui la sinagoga fu demolita”, ricorda il Papa. Fu il regime comunista a demolire l’edificio di culto nel 1969, insieme all’intero ghetto, per far posto al Ponte dell’Insurrezione nazionale slovacca, noto anche come Ponte Nuovo.
Sta scritto: “Non pronuncerai invano il nome del Signore”. Il nome divino, cioè la sua stessa realtà personale, è nominata invano quando si viola la dignità unica e irripetibile dell’uomo, creato a sua immagine. Qui il nome di Dio è stato disonorato, perché la blasfemia peggiore che gli si può arrecare è quella di usarlo per i propri scopi, anziché per rispettare e amare gli altri.
Davanti alla storia del popolo ebraico, segnata da un affronto tragico e inenarrabile, il Papa ammette quindi con “vergogna”: “Quante volte il nome ineffabile dell’Altissimo è stato usato per indicibili atti di disumanità! Quanti oppressori hanno dichiarato: ‘Dio è con noi’; ma erano loro a non essere con Dio”.
La memoria non ceda il posto all’oblio
“La vostra storia è la nostra storia, i vostri dolori sono i nostri dolori”, aggiunge Francesco, volgendo lo sguardo verso il Memoriale, alto cinque metri sulla cui sommità svetta la Stella di David. “La memoria non può e non deve cedere il posto all’oblio, perché non ci sarà un’alba duratura di fraternità senza aver prima condiviso e dissipato le oscurità della notte”. “Questo – afferma il Pontefice – è per noi il tempo in cui non si può più oscurare l’immagine di Dio che risplende nell’uomo”. Bisogna aiutarsi in questo, in un tempo in cui “non mancano idoli vani e falsi che disonorano il nome dell’Altissimo”. Sono il potere e il denaro “che prevalgono sulla dignità dell’uomo”, l’indifferenza di chi “gira lo sguardo dall’altra parte”, le manipolazioni “che strumentalizzano la religione, facendone questione di supremazia oppure riducendola all’irrilevanza”. E ancora, rimarca il Papa, “sono la dimenticanza del passato, l’ignoranza che giustifica tutto, la rabbia e l’odio”.
In mezzo ai ricordi di tanto male, a Rybné námestie brilla però una luce di speranza. “Qui ogni anno venite ad accendere la prima luce sul candelabro della Chanukia. Così, nell’oscurità, appare il messaggio che non sono la distruzione e la morte ad avere l’ultima parola, ma il rinnovamento e la vita”, dice il Papa. E se la sinagoga è stata demolita, “la comunità è ancora presente” ed “è viva e aperta al dialogo”. “Qui le nostre storie si incontrano di nuovo. Qui insieme affermiamo davanti a Dio la volontà di proseguire nel cammino di avvicinamento e di amicizia”.
In proposito, il Papa spiega di conservare il ricordo dell’incontro a Roma nel 2017 con le comunità ebraiche e si dice lieto che in seguito sia stata istituita una Commissione per il dialogo con la Chiesa cattolica. “È bene condividere e comunicare ciò che unisce. Ed è bene proseguire, nella verità e con sincerità, nel percorso fraterno di purificazione della memoria per risanare le ferite passate, così come nel ricordo del bene ricevuto e offerto”.
Le parole del Talmud
Francesco cita quindi il Talmud
“Ognuno conta”, afferma, ringraziando per le porte aperte da entrambe le parti: un simbolo per il mondo di oggi che “ha bisogno di porte aperte”.
In terra slovacca, “terra d’incontro tra est e ovest, tra nord e sud”, auspica infine Francesco, la comunità ebraica continui ad essere “segno di benedizione per tutte le famiglie della terra”. Da qui, l’esortazione ad essere “sempre, insieme, testimoni di pace”, in mezzo alla “tanta discordia che inquina il nostro mondo”. “Shalom!”.
Candele e Kaddish
L’incontro si conclude con l’accensione di alcune candele in memoria delle vittime dell’Olocausto e l’intonazione di un Kaddish, una delle più antiche preghiere ebraiche. Francesco ascolta assorto e ad occhi chiusi questo canto in cui si nominano i campi di sterminio di Auschwitz, Mathausen, Treblinka e si ricordano pure i numerosi Giusti delle Nazioni che hanno aiutato gli abrei a fuggire dalla barbarie nazista. Il Pontefice dona poi alla comunità ebraica un piatto in ceramica raffigurante San Pietro. Poi saluta personalmente con una stretta di mano i due testimoni, regalando alla suora orsolina un Rosario.
Dopo l’incontro in Piazza Rybné námestie, il Pontefice, congedandosi tra gli applausi, si trasferisce in macchina verso la Nunziatura di Bratislava per l’incontro privato, prima con il presidente del Parlamento, Boris Kollár, e poi con il primo ministro, Eduard Heger.
Slovacchia, il Papa: chi ha la croce nel cuore non vede nessuno come nemico
Alla Divina Liturgia celebrata in rito bizantino a Prešov, Francesco esorta a non aspirare a un cristianesimo trionfalistico: senza croce – avverte – diventa mondano e sterile. Ricordati anche quanti sono morti in Slovacchia a causa del nome di Gesù
Debora Donnini – Città del Vaticano
Non ridurre la croce a “un simbolo politico”, a “un segno di rilevanza religiosa e sociale”. Gesù ha scelto “la via più difficile”, quella della croce, perché non ci sia nessuno tanto disperato “da non poterlo incontrare, persino lì, nell’angoscia, nel buio, nell’abbandono, nello scandalo della propria miseria e dei propri sbagli”. Nel cuore della Slovacchia orientale, dove da secoli vivono cattolici di rito sia latino che bizantino, il Papa rivolge ai fedeli una forte omelia incentrata sul senso profondo della croce di Cristo, riallacciandosi anche alle sofferenze vissute in questa terra: alle tante persone che in Slovacchia sono morte “a causa del nome di Gesù”. Parole molto forti che risuonano alla Divina Liturgia Bizantina di San Giovanni Crisostomo, nella festa dell’Esaltazione della Croce, davanti ai fedeli slovacchi riuniti nel piazzale del centro sportivo Mestskà Sportova hala di Prešov, terza città del Paese che sorge ai piedi dei Monti Metalliferi, dove una targa commemorativa ricorda la visita di san Giovanni Paolo II nel 1995 quando incontrò i cattolici di rito bizantino.
È palpabile l’entusiasmo degli oltre 30 mila presenti che sventolano bandierine mentre Francesco passa in papamobile. Questa è la prima Divina Liturgia bizantina di San Giovanni Crisostomo ad essere presieduta da un Papa in Slovacchia. È celebrata parzialmente in slovacco e in slavo ecclesiastico, o come viene chiamato “paleoslavo”. E poiché la Slovacchia orientale è etnicamente mista, ci saranno anche alcune preghiere in lingua rutena, altre in ucraino, ungherese e rom. Una liturgia ricca di segni come la benedizione con i trikerion e i dikerion, speciali candelabri. Intenso anche il momento di adorazione della Santa Croce esposta sul tetrapodion. Viene anche donata al Papa un’icona, copia della Santa Madre di Dio di Klokocov.
Il testimone della croce non impone sé stesso ma dona la vita
“Oggi il Signore, dal silenzio vibrante della croce, chiede a tutti noi e chiede anche a te, a te, a te, a me: ‘Vuoi essere mio testimone?’”, dice il Papa ricordando che la croce “non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere”, quello delle Beatitudini:
Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita. Il testimone della croce non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente. Il testimone della croce non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana: non vuole imporre sé stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli altri. Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto: questa sarebbe una religione della doppiezza, non la testimonianza del Dio crocifisso. Il testimone della croce persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile.
Gli eroi della quotidianità
Non attende, dunque, trionfi quaggiù, ma è fecondo nella quotidianità. Ed è immergendo lo sguardo in Gesù che si viene trasformati. Il pensiero di Francesco va dunque ai martiri “che hanno testimoniato in questa nazione l’amore di Cristo in tempi molto difficili, quando tutto consigliava di tacere, di mettersi al riparo, di non professare la fede”.
Quante persone generose hanno patito e sono morte qui in Slovacchia a causa del nome di Gesù! Una testimonianza compiuta per amore di Colui che avevano lungamente contemplato. Tanto da somigliargli, anche nella morte. Ma penso anche ai nostri tempi, in cui non mancano occasioni per testimoniare. Qui, grazie a Dio, non c’è chi perseguita i cristiani come in troppe altre parti del mondo. Ma la testimonianza può essere inficiata dalla mondanità e dalla mediocrità. La croce esige invece una testimonianza limpida.
Il Papa invita, dunque, gli slovacchi a conservare il ricordo delle persone semplici che “hanno dato la vita amando fino alla fine”. Sono “i nostri eroi”, afferma, “eroi della quotidianità” le cui vite cambiano la storia. I testimoni, infatti, generano altri testimoni. Così si diffonde la fede, rimarca, “non con la potenza del mondo, ma con la sapienza della croce; non con le strutture, ma con la testimonianza”
La croce non resti un libro “non letto”
Alcuni santi hanno insegnato che la croce è come un libro che, per conoscerlo, bisogna aprire e leggere. Non basta acquistarlo e dargli un’occhiata. Così per la croce:
E’ dipinta o scolpita in ogni angolo delle nostre chiese. Non si contano i crocifissi: al collo, in casa, in macchina, in tasca. Ma non serve se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e non gli apriamo il cuore, se non ci lasciamo stupire dalle sue piaghe aperte per noi, se il cuore non si gonfia di commozione e non piangiamo davanti al Dio ferito d’amore per noi. Se non facciamo così, la croce rimane un libro non letto, di cui si conoscono bene il titolo e l’autore, ma che non incide nella vita. Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale.
Un cristianesimo senza croce diventa sterile
Richiamandosi al Vangelo della Liturgia odierna il Papa sottolinea che san Giovanni vede e testimonia. Vede Gesù in croce, un innocente ucciso brutalmente. Agli occhi de mondo sembra un fallimento, ed esiste – avverte Francesco – il rischio di fermarsi a “questo primo sguardo superficiale” e non, invece, “accettare la logica della croce”:
Non accettare che Dio ci salvi lasciando che si scateni su di sé il male del mondo. Non accettare, se non a parole, il Dio debole e crocifisso, e sognare un dio forte e trionfante. È una grande tentazione. Quante volte aspiriamo a un cristianesimo da vincitori, a un cristianesimo trionfalistico, che abbia rilevanza e importanza, che riceva gloria e onore. Ma un cristianesimo senza croce è mondano e diventa sterile.
Dio ha fatto suo il nostro abbandono
L’invito del Papa è dunque a vedere nella croce l’opera di Dio, in Cristo crocifisso la gloria di Dio, che si offre volontariamente per ogni uomo. “Per salvare chiunque è disperato ha voluto lambire la disperazione, per fare suo il nostro più amaro sconforto ha gridato sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»”, ricorda il Papa sottolineando che è “un grido che salva”, perché “Dio ha fatto suo perfino il nostro abbandono. E noi, ora, con Lui, non siamo più soli, mai”.
Al termine della Divina Liturgia – durante la quale sono stati utilizzati circa 25 mila cucchiaini per dare la comunione sotto le due specie – a rivolgere un saluto al Papa è stato monsignor Ján Babjak, arcivescovo Metropolita di Prešov per i cattolici di rito bizantino. “Nella Chiesa greco-cattolica in Slovacchia, il ‘Pietro di Roma’ è molto amato, da interi secoli. Preghiamo per Lei e per la Sua opera apostolica che svolge in tutto il mondo, rafforzando i fratelli e le sorelle nella fede”, afferma esprimendo così la gioia di tutti i fedeli per la visita del Papa.
Ausiliare di Bratislava: il Papa fa emergere il nostro potenziale
Monsignor Halko sottolinea quanto sia efficace la presenza di Francesco tra la gente slovacca. Un popolo nel cuore d’Europa che vive un dinamismo, soprattutto tra i giovani, e che il Papa, costruttore di ponti, sta portando alla luce
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Tra coloro che accompagnano la visita di Francesco nelle tappe del suo Viaggio apostolico in Slovacchia, c’è monsignor Jozef Halko, vescovo ausiliare di Bratislava. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente durante l’attesa a Presov per la celebrazione della Divina Liturgia. Sottolinea quanto si veda che “il Santo Padre, attraverso la scelta dei luoghi che sta visitando e attraverso i gesti e le parole che sta usando, costruisce davvero ponti” e offre un modello. “Lo fa con le diverse fasce sociali della popolazione, nell’incontro con gli ebrei, nel rapporto con le altre confessioni cristiane, dentro la Chiesa e verso i lontani da essa e da Gesù Cristo”.
I giovani cercano un appoggio nell’offerta pastorale della Chiesa
Il presule si sofferma sul dinamismo che sta vivendo la Slovacchia in questo tempo. Precisa che si tratta di uno sviluppo di mentalità che riguarda per esempio l’uso delle tecnologie e dei social. Da qui, l’appello a guardare alla modernità entrando in questi ambiti anche per poter lì offrire il Vangelo. “Penso che i giovani percepiscano la visita del Papa molto in profondità – spiega – e anche in aeroporto, per esempio ce n’erano tanti. In Slovacchia, io ritengo, c’è un grande potenziale tra i giovani. Cercano il senso della propria vita, la strada da percorrere. Molti – osserva – non hanno vissuto una esperienza edificante con la propria famiglia e cercano punti di appoggio anche in ciò che offre la Chiesa”.